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26 giugno 2011

IL GIARDINO DELLE STREGHE (1944)

 
A pleasing land of drowsy head it was, 
Of dreams that wave before the half-shut eye; 
And of gay castles in the clouds that pass, 
Forever flushing round a summer sky.
Il giardino delle streghe si presenta sin dal titolo originale (The Curse of the Cat People) come il seguito del bello e fortunato Il bacio della pantera (Cat People), ma non prosegue né condivide nulla della storia precedente, a parte i personaggi e alcune tematiche di fondo; e anche il tono dei due film è molto diverso. Il titolo, infatti, fu voluto dalla RKO, desiderosa di bissare il successo del film precedente, nonostante la volonta del produttore Val Lewton di cambiarlo, pare, in Amy and Her Friend.
Dopo la morte di Irena, Oliver e Alice si sono sposati e ora hanno una figlia di sei anni, Amy, sola e immaginativa, che vive in un mondo fatto di sogni e fantasie. Questo la isola ancora di più dai suoi coetanei, che la ritengono strana, dato che è capace di interrompere il gioco appena iniziato per inseguire una farfalla o dare uno schiaffo  al compagno che quella farfalla uccide. Il padre non è molto contento dello stato della figlia e teme che su di lei incomba lo stesso destino di Irena, uccisa dalle sue fantasie e paure. E, per via di una fotografia trovata in un cassetto, proprio della donna prenderà le fattezza l'amica immaginaria di Amy, che compare bellissima nel giardino, il regno delle meraviglie della piccola, che, nel frattempo, ha fatto amicizia con la vecchia Julia Harren, che vive nella vecchia casa accanto con la figlia che ritiene un'impostora.
Il film segna un doppio debutto alla regia, quello di Gunther von Fritsch, che aveva girato fino ad allora solo cortometraggi, e quello di Robert Wise (West Side Story), che rimpiazzò il primo, allontanato perché molto indietro con le riprese; e, benché  non graziato dalla stessa maestria registica di Jacques Tourneur, rimane comunque un'opera bella e delicata sull'infanzia, in cui scompaiono quasi del tutto i tocchi orrorifici per lasciare spazio all'immaginazione e alla fantasia. Siamo di fronte al ritratto dolce di un'infanzia isolata e incompresa, alimentata dalla stessa esperienza personale del produttore, che, nel confronto difficile col mondo reale, trova la sua dimensione in un mondo altro, fatto di favole e magia, in cui il tronco forato di un albero può diventare la buca delle lettere, mentre gli adulti non comprendono e non sanno come comportarsi, tormentati dai fantasmi del passato che incombe e non lascia scampo (tema anche del primo film), aggravando ulteriormente la situazione. Anche i momenti più propriamente horror, allora, sono di stampo fiabesco, come per la vecchia casa infestata tra ombre e grandi scalinate o per il racconto, fatto dalla vecchia proprietaria della casa, della leggenda di Sleepy Hollow, in cui quest'horror fiabesco raggiunge il suo massimo.
Come nel Bacio della Pantera, molte cose, in questo film bello e gentile, restano taciute e allusive, consegnate alla sensibilità dello spettatore (mai si capisce, per esempio, se il fantasma con cui la piccola Amy stringe amicizia sia davvero tale o solo un frutto della sua immaginazione), tant'è che è stato tentato un parallelo con la storia dell'Alice di Carroll (Alice è il nome della madre di Amy, che è spesso vestita come il modello letterario; la signora della vecchia, che ricorderebbe la Duchessa pazza, offre un tea party alla sua giovane visitatrice). Peccato, alla fine, per quest'opera molto apprezzata anche da Joe Dante, che i dialoghi non siano proprio il massimo e lascino spesso a desiderare.
Alla fine della sua carriera, Simone Simon ammise che non amò mai il film e che il cast accettò di girarlo come una sorta di obbligo, di ricompensa, che doveva a Lewton. 

TITOLO ORIGINALE: The Curse of the Cat People – PRODUZIONE: USA 1944 – REGIA: Robert Wise & Gunter von Fritsch – CAST: Simone Simone, Kent Smith, Jane Randolph, Ann Carter – GENERE: Horror – DURATA: 70 min

25 giugno 2011

SCALA AL PARADISO (1946)


Don't be upset about the parachute, I'll have my wings soon anyway, big white ones. I hope it hasn't gone all modern, I'd hate to have a prop instead of wings! 
Con Scala al Paradiso siamo di fronte al primo dei film imprescindibili e assolutamente da vedere della coppia Powell & Pressburger, un capolavoro altamente inventivo, pieno zeppo di trovate, assurdo e meraviglioso.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, il capitano Peter Carter, di ritorno da un'azione di bombardamento, col velivolo danneggiato e il paracadute fuori uso, stabilisce un contatto radio coll'operatrice americana June, annunciandole che per lui non ci sono più speranze e che preferisce gettarsi nel vuoto piuttosto che finire arrostito nel suo aereoplano. La donna, colpita dalla determinazione dell'uomo, si commuove e i due, in quel breve scambio telefonico davanti alla morte, si innamorano. Peter si butta, ma miracolosamente si salva, ritrovandosi su una spiaggia soltanto con un certo mal di testa, e, sempre come per miracolo, proprio lì ritrova June. C'è però stato uno sbaglio: l'incaricato che doveva portarlo nell'altro mondo l'ha mancato per via della nebbia inglese e ora per Peter è tempo di lasciare questa vita. L'uomo reagisce, non  ritenendolo giusto, perché le condizioni non sono più quelle di partenza, ora c'è June e l'amore che prova per lei. Otterrà la possibilità di appellarsi al tribunale dell'aldilà, mentre nel frattempo, sulla terra, viene seguito da un dottore per i suoi disturbi alla testa che lo porteranno a sottoporsi a un difficile intervento chirurgico proprio quando, nell'altro mondo, si sta svolgendo il processo.
Il film nasce su suggerimento del governo inglese che voleva promuovere, così come avvenuto anche per Un racconto di Canterbury, le relazioni tra Inglesi e Americani che si erano deteriorate alla fine del conflitto colla presenza di numerosi soldati americani su suolo britannico, ma si rivela un fantasioso apologo sull'amore e i sentimenti, in cui la componente romantica domina su quella politica, tra l'altro stemperata dal tipico humour inglese, in cui l'assunto principale è che «a single tear shed for love might stop heaven in its track», una lacrima di amante raccolta su un fiore che è prova della verità dell'amore tra i due protagonisti, sbocciato, all'inizio, in una sequenza alternata che fa già commuovere dopo appena dieci minuti dall'inizio del film, bello e prezioso anche per la parte più tecnica, con un'alternanza di colore e bianco e nero (originalmente girato in tachnicolor e per questo perlaceo) invertita rispetto al precedente del Mago di Oz. Qui è l'aldilà, per altro mai inteso come paradiso e che può semplicemente essere frutto della mente del protagonista, ad avere l'asetticità ascetica del bianco e nero (tant'è che il divertentissimo messaggero celestiale, un aristocratico francese vittima della Rivoluzione, giunto sulla terra, può esclamare: «one is sterved for Technicolor up there!), mentre la terra sprigiona tutta la sua immensa varietà di colori. 
Altre trovate importanti sono la famosa scala che ad un certo punto congiunge i due mondi, a cui si riferisce il titolo nella versione americana (Stairway to Heaven) e italiana; l'operazione chirurgica vista in soggettiva dal punto di vista dell'occhio di Niven che si chiude; e il fatto che il tempo si fermi, come nella scena del ping pong, quando compare il messaggero dell'aldilà.
Un capolavoro fantastico per forma e contenuti, sorretto da un'ottima prova d'attori, che la rivista Total Film nel 2004 ha inserito al secondo posto dei migliori film britannici dopo solo Carter, benché all'uscita i critici inglesi non fossero troppo contenti del messaggio del film che ritenevano troppo pro-americano.
   
TITOLO ORIGINALE: A Matter of Life and Death – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1946 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: David Niven, Kim Hunter, Roger Livesey – GENERE: Fantasy – DURATA: 104 min

24 giugno 2011

IL BACIO DELLA PANTERA (1942)

  
I like the dark. It's friendly.
Primo di una lunga serie di film prodotti per la RKO da Val Lewton, assunto per realizzare prodotti horror di richiamo commerciale con budget striminzito, al di sotto dei 150.000 dollari, e con titoli forniti dalla stesso studio, che doveva riprendersi dal flop clamoroso dell'Orgoglio degli Amberson di Welles, di cui venne riciclato anche il set, Il bacio della pantera, nato quindi come horror di serie B, è un gioiello che ancora oggi non ha perso il suo smalto, conservando intatto tutto il suo fascino.
L'ingegnere navale Oliver Reed incontra allo zoo la bella e misteriosa Irena Dubrovna, che mostra una strana attrazione per la gabbia della pantera, se ne innamora e la sposa. La donna, però, si ritiene vittima di un'antica maledizione della sua terra, la Serbia, che la vorrebbe trasformata, se eccitata sessualmente, in una feroce pantera capace di uccidere il proprio amato. Oliver, tuttavia, ritiene queste solo paure infondate, e fa vedere la moglie da uno psichiatra, consigliatogli dalla collega Alice, da sempre segretamente innamorata di lui e a cui lui chiede conforto. La loro relazione scatenerà la furia di Irena.
L'orribile e il pauroso non accadono mai apertamente e, mai mostrati realmente, nascono in maniera sottile e si alimentano delle suggestioni e delle paure che il film riesce a creare e a istillare nella mente dello spettatore, grazie ad un sapiente uso delle luci e delle ombre, che spesso avvolgono i personaggi, soprattutto la protagonista, una magnifica Simone Simon, che ispira partecipazione e timore allo stesso tempo, e a scene memorabili ricche di trovate, come quella in cui Alice, nell'oscurità illuminata da pochi lampioni, si sente seguita fino a quando quello che pare un verso di pantera non è altro che il freno di un autobus, o quella in cui sempre Alice si crede attaccata in piscina. La stessa trasformazione felina di Irena non viene mai mostrata apertamente, rimanendo essa stessa un mistero.
Affascinante è anche il sottotesto sessuale basato sulla paura della propria sessualità che porta la protagonista a mai consumare il suo matrimonio e a temere anche solo di baciare l'uomo che ama, ma è paura anche di quella parte oscura e nascosta, recondita e sconosciuta, di noi stessi. E i miti e le superstizioni della nostra terra ci inseguono sempre, anche se quella terra è stata abbandonata. Ancora oggi un ottimo film, bello suggestivo e malinconico.
   
TITOLO ORIGINALE: Cat People – PRODUZIONE: USA 1942 – REGIA: Jacques Tourneur – CAST: Simone Simon, Kent Smith, Tom Conway – GENERE: Horror – DURATA: 73 min

23 giugno 2011

SO DOVE VADO (1945)


I know where I'm going
And I know who's going with me
I know who I love
And my dear knows who I'll marry. 
Costretti ad attendere il technicolor per Scala al paradiso, Powell e Pressburger, allora, mettono su un gioiellino meraviglioso in bianco e nero, per la maggior parte ambientato nel paesaggio selvaggio e magnifico delle Ebridi scozzesi, splendidamente riprese, che ha molti punti di contatto con il precedente Un racconto di Canterbury.
Joan Webster, interpretata da Wendy Hiller che ha preso il ruolo inizialmente pensato per Deborah Kerr, fin da bambina sa dove sta andando e che cosa vuole ottenere dalla vita. Per avere il meglio, ha deciso di sposare un ricco industriale di mezza età, che deve raggiungere nell'isola di Killoran, dove risiede, per le nozze. Giunta sull'isola vicina di Mull, le è impedito raggiungere il promesso sposo per via del tempo inclemente che rende il mare burrascoso. Costretta a soggiornale a Mull, nell'attesa del bel tempo, Joan si innamora dell'ufficiale di marina in licenza Torquil McNeil, interpretato da Livesey che, impegnato a Londra in teatro, mai raggiunse la Scozia dove fu impiegata una controfigura. Anche lui è diretto a Killoran, antico possedimento della famiglia ora ceduto al ricco industriale. Contro la volontà del suo cuore e della natura, Joan decide comunque di imbarcarsi, corrompendo un giovane del posto, incurante dei pericoli del mare in tempesa. Torquil, nonostante sia contrariato, si imbarca anche lui, consapevole del rischio che corrono.
I Know Where I'm Going, il cui titolo riprende una bellissima canzone tradizionale scozzese e irlandese che apre e chiude l'opera, racconta di una storia di amore, sì tradizionale e risaputa, ma scritta, diretta e interpretata magnificamente, in cui tutto è perfettamente al posto giusto e tutto funziona egregiamente. All'amore di comodo, pianificato scrupolosamente come tutte le cose nella vita di Joan, per l'industriale, appettibile solo per il denaro (infatti in due non si vedono mai insieme e dell'uomo si sente solo la voce) si contrappone l'amore del cuore, che sboccia quando e dove meno te lo aspetti, che sconvolge tutti i piani, e a cui è sciocco, oltreché impossibile, resistere.
La scoperta del vero sentimento avviene nel paesaggio incontaminato e rurale delle isole scozzesi, che ha una funzione analoga a quello delle campagne del Kent di A Canterbury Tale, e cioè quella di risvegliare sentimenti naturali e semplici, ma maggiormente "umani", in personaggi che hanno sacrificato se stessi alle richieste della società moderna. E allora l'innamoramente coincide colla scoperta delle bellezze di quel posto bello e primitivo, colle sue danze e i canti in gaelico e gli strani e bizzarri personaggi, gentili e rudi al contempo, come l'ambiente che abitano. E come nel film precedente sul presente si riverberava la tradizione antica dei pellegrini diretti a Canterbury, qui è il mito con le sue leggende e maledizioni a udirsi ancora tra gorghi e manieri.
In definitiva un capolavoro bellissimo che parte in maniere veloce e frizzante come una screwball comedy con trovate magnifiche e divertenti (il cappello a cilindro che si dissolve nel fumaiolo della locomotiva, il sogno bizzarro di Joan in cui il paesaggio scozzese si ricopre di tartan) per poi cedere il passo allo splendore naturalistico delle isole scozzesi, mostrando «the profound effects of nature on people, and that fact the universe can be wondrous and magical place if one keeps open to its vast mysteries».
Il critico Barry Norman lo ha incluso nei 100 migliori film di tutti i tempi, mentre Martin Scorsese ha detto: «I reached the point of thinking there were no more masterpieces to discover, until I saw I Know Where I'm Going».
He shall be chained to a woman until the end of his days and he shall die in his chains.
TITOLO ORIGINALE: I Know Where I'm Going – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1945 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: Roger Livesey, Wendy Hiller, George Carney, Pamela Brown – GENERE: Commedia – DURATA: 92 min

22 giugno 2011

CHRISTOPHER AND HIS KIND (2011)


You're lucky, you're not burned by the concept of sin. And it's a sin, Christopher...although I fully intend to carry on sinning.
Christopher and His Kind è un film per la televisione prodotto dalla BBC molto ben curato in tutti i suoi aspetti, come è consueto per le produzioni della rete, che vanta come protagonista e star quel Matt Smith che è l'undicesimo  dottore nella serie Doctor Who e a cui, proprio per questo, per conservarne la figura "pulita" e adatta a tutta la famiglia, la BBC ha tassativamente proibito di apparire nudo.
Il film drammatizza il libro autobiografico dello stesso titolo di Christopher Isherwood, adattato da Kevin Elyot, in cui lo scrittore ricorda la sua vita nella Berlino dei primi anni '30. La storia viene raccontata a ritroso mentre Isherwood, ormai scrittore a Los Angeles, davanti alla macchina da scrivere si accinge a mettere nero su bianco la sua esperienza a Berlino, in cui si era recato essenzialmente per i ragazzi, come dice lui stesso, accettando l'invito del suo amico e amante occasionale, il poeta W. H. Auden, fuggendo la ristrettezza dell'Inghilterra del tempo e l'autorità della madre. Appena giunto, Christopher si butta alla scoperta della effervescente vita omosessuale del posto e, trovato impiego come insegnante d'inglese, incontrerà strani e bizzarri personaggi, come Jean Ross, che, col sogno di diventare un giorno attrice a Hollywood, canta al cabaret. Nel frattempo, però, il Nazismo prende piede e Christopher decide di tornare in Inghilterra dove cerca di portare anche Heinz, spazzino colla madre malata e il fratello maggiore nazista, con cui ha intanto intrecciato una affettuosa relazione, ma non vi riesce. Lo rincontrerà, sposato e con figli, solo molti anni dopo.
Il film, girato a Belfast, è superbamente interpretato, non soltanto, in una prova mimetica, da Smith, che si è preparato studiando video di Isherwood e incontrando il suo compagno di lunga data, Don Bachardy, ma anche dal resto del cast, in cui spiccano Lindsay Duncan nel ruolo della madre chiusa e autoritaria – e i duetti tra i due sono tra le cose migliori del film – e Pip Carter nel ruolo di Auden a cui sono date le battute migliori («I do loathe the sea. It's so wet and sloppy»). La giovane Imogen Poots, invece, deve vedersela col ruolo difficile di Jean Ross, non fosse altro per il fatto che ha ispirato la Sally Bowles di Cabaret, ma vi riesce egregiamente, sguaiata e impiastricciata di trucco. 
Anche la ricostruzione storica e d'ambiente è più che accettabile, considerata anche la natura televisiva dell'opera, ma, nonostante tutto, il film non convince pienamente. Dopo una prima mezz'ora veloce, divertente e ben girata, con una Berlino gaia che non ti aspetti, il film si perde nella parte restante, via via più drammatica, un po' confusa e non del tutto riuscita, che non sembra mai raggiungere la necessaria intensità. Alla fine, tirando le somme, sufficienza più che meritata, anche per il coraggio di mettere in scena l'omosessualità senza filtri e pregiudizi.

TITOLO ORIGINALE: Christopher and His Kind – PRODUZIONE: Gran Bretagna 2011 – REGIA: Geoffry Sax – CAST: Matt Smith, Imogen Poots, Lindsay Duncan, Toby Jones – GENERE: Biografico – DURATA: 89 min – MESSA IN ONDA: 19 Marzo 2011 (BBC 2)

21 giugno 2011

UN RACCONTO DI CANTERBURY (1944)

Whan that Aprill, with his shoures soote
The droghte of March hath perced to the roote
And bathed every veyne in swich licour,
Of which vertu engendred is the flour... 
Dopo la grandeur di Duello a berlino, Powell e Pressburger si cimentanto in un film più piccolo e in bianco e nero. Non potendo sottrarsi neanche loro, in tempo di guerra, ad accogliere l'istanza di pellicole propagandiste sia per il mercato interno sia per il pubblico americano, a cui bisognava spiegare per quali ragioni e per quali valori la nazione si era impegnata nel conflitto bellico, il duo inglese riesce comunque a ricavarne un'opera personale e lirica, mutevole ed eterogenea e per questo imperfetta, ma che vale la visione.
Il titolo ovviamente si rifà ai Racconti di Canterbury di Chaucer, a cui viene ricondotta la vicenda contemporanea, ambientata durante il secondo conflitto mondiale. A Chillingbourne, un piccolo borgo del Kent sulla strada per Canterbury, si incontrano tre personaggi. C'è Alison, una ragazza londinese, precedentemente commessa, che ora vuole inmpegnarsi in fattoria come Land girl, dopo che il suo amato è stato dato disperso in guerra, e c'è Peter, sergente inglese in licenza prima della partenza per il fronte, che ha studiato l'organo al conservatorio ma che ha suonato solo nei cinema. C'è poi Bob Johnson, sergente americano interpretato da un attore non professionista e davvero sergente, che non riceve da tempo lettere dalla sua fidanzata e che, diretto a Canterbury, sbaglia stazione, incontrando gli altri due. Avventurandosi nel paese, Alison viene aggredita dal Glue Man che tormenta le ragazze locali imbrattandone i capelli di colla. I tre cominciano a girare per il pase e a conoscerne la gente per venire a capo del mistero, ma vengono assorbiti e affascinati dalla bellezza del luogo e dal fascino della storia antica dei pellegrini che andavano a Canterbury per ricevere grazie o espiare peccati. I sospetti si concentrano sul magistrato locale, promotore della memoria antica.
La risoluzione del caso dell'uomo della colla, su cui all'inizio sembra impostata la vicenda, in realtà è solo un pretesto per tenere legati i moderni pellegrini alla stessa maniera dei racconti di Chaucer, e infatti il colpevole si scopre quasi subito. A Canterbury Tale è essenzialmente un film lirico e delicato in cui a dominare è la campagna inglese colla sua gente e i suoi riti che sembrano continuare come sempre nonostante tutto, nonostante la guerra, tenuta ai margini della vicenda e che fa capolino, colle sue case distrutte e abbattute, solo sul finale. I tre protagonisti, allora, (ri)scoprono un mondo naturale e incantato, in contrasto con quello dei tempi nuovi, che o non avevano mai conosciuto o avevano dimenticato, in connessione col tempo passato, raffiguarato nella bellissima scena d'apertura, in cui i pellegrini passavano per quelle strade, fiduciosi. E secoli dopo, ancora, «they're all searchers, looking for something, and the answer to all their troubles can be found in Canterbury». Assunto lo spirito di quella gente antica, i tre protagonisti possono andare finalmente a Canterbury, ad attendere il miracolo, perché ai miracoli bisogna credere affinché avvengano. E allora, se è per difendere questo patrimonio fatto di tradizione, si perdonerà anche qualche azione non troppo carina.
Benché non poche siano le imperfezioni proprio per la sua natura fluida e mutevole, parliamo comunque di un film bello e lieve, molto buono, ed è un peccato che, dopo essere stato un flop commerciale a suo tempo, rimanga ancora oggi un film poco noto e apprezzato della coppia Powell & Pressburger.

TITOLO ORIGINALE: A Canterbury Tale – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1944 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: John Sweet, Eric Portman, Sheila Sim, Dennis Price – GENERE: Commedia – DURATA: 124 min

20 giugno 2011

DUELLO A BERLINO (1943)


War starts at midnight!
Primo film della coppia delle meraviglie Powell-Pressburger realizzato attraverso The Archers, la loro stessa casa di produzione, Duello a Berlino è anche il loro primo film girato in technicolor, che, come nelle successive produzioni, è smagliante e meraviglioso. Inoltre, compare nei titoli di testa, per la prima volta e in maniera straordinaria per l'epoca, la dicitura "scritto, prodotto e diretto da...".
 Si narra dell'intero arco esistenziale dell'ufficiale britannico Clive Candy, un molto bravo Livesey, dalla Guerra boera alla Prima guerra mondiale fino ad arrivare alla Seconda. Giunto nel 1902 a Berlino per difendere l'onore dell'esercito inglese dalle accuse tedesche, Candy finirà per scontrarsi in duello con un ufficiale del posto, Theo, a cui sarà legato per tutta la vita da un'amicizia imperitura, che vince distanze e guerre. A lui Candy concede anche la donna di cui solo successivamente si scopre innamorato e che in un certo senso ricercherà per tutta la vita. Ormai in piena guerra con i nazisti, durante una esercitazione dell'Home Guard, il protagonista, ormai vecchio, viene fatto "prigioniero" dai suoi stessi uomini.
Come indica il titolo originale (The Life and Death of Colonel Blimp), il film trae spunto dalle strisce satiriche e antimilitariste di David Low, per distanziarsene in una riflessione su temi importanti quali la guerra e come questa cambi e si evolva nel tempo; il tempo che passa e l'uomo che invecchia; il rapporto tra le generazioni; l'amore e come questo segni la vita umana. Insomma, Duello a Berlino, salutato dal critico Dave Kehr «as very possibly the finest film ever made in Britain», benché sia leggermente inferiore ai capolavori della coppia di cineasti inglesi (Scala al paradiso, Scarpette rosse), si presenta come un grande film in tutti i sensi; per lunghezza (ben 163 minuti che forse potevano essere accorciati), complessità e ambizioni. 
La vita di Candy viene narrata in flashback dopo che questi, all'inizio del film, è fatto prigioniero nel bagno turco dove si trova da uno spavaldo e giovane ufficiale che ha cominciato prima l'esercitazione benché l'ordine dicesse che «wars starts at midnight». I due, venuti alle mani, finiscono in acqua, dalla quale, riavvoltosi il tempo, riesce un Candy giovane e in piena forma. Dall'inizio, quindi, vengono a galla alcuni dei temi che ricorreranno per tutta la durata del film. Innanzitutto, c'è disparità incolmabile tra la visione della guerra, arcaica e ottocentesca, di Candy, che la ritiene ancora una prova da gentlemen basata su mezzi onesti, e quella caratteristica dei tempi nuovi del giovane ufficiale, che viene meno agli ordini e con l'inganno "cattura" il suo superiore perché così ormai funziona (vedi Pearl Harbor), e del nazismo, la più grande minaccia mai affrontata dall'umanità secondo Theo ormai espatriato, che non esita a macchiarsi dei più grandi orrori e contro cui forse non è così disonorevole abbassarsi agli stessi mezzi. 
Portatore di una visione ormai superata e anacronistica, Candy può essere insultato da quel giovane soldato presuntuso, portando all'attenzione un altro tema centrale, quello dell'uomo divenuto vecchio che cerca ancora un posto di utilità nel mondo, ma viene rigettato e deriso dalle nuove generazioni. Al giovane che lo insulta Candy risponde: «You laugh at my belly but you don't know how I got it! You laugh at my mustache but you don't know why I grew it!», ricordandogli che diventerà vecchio, come lui è stato giovane. Alla fine, però, Candy, davanti alla sua casa bombardata, lo perdonerà, perché, appunto, anche lui era così una volta, capendo che, dopo tutto, non è cambiato affatto e che la sua vita può avere ancora un senso.
La tematica amorosa è legata, invece, alla giovane bella e brava Deborah Kerr, scelta da Powell che pensava che «she would be a star one day», che interpreta ben tre ruoli diversi: l'amica a Berlino che diviene la moglie di Theo ma a cui Candy rimmarrà legato nel ricordo tutta la vita ricercando le sue fattezze in altre donne; la crocerossina vista in un convento in Francia durante la guerra che diviene la moglie di Candy e la giovane autista di lui da vecchio.
Numerose le scene imperdibili, a cominciare, ovviamente, dal duello che, appena iniziato, viene abbandonata dalla macchina da presa che si allontana al di fuori del ginnasio, sotto la neve di Berlino, nella carrozza dove la Kerr aspetta trepidante, dando luogo ad una delle più belle ellissi della storia del cinema; o dal monologo struggente di Theo davanti a chi deve giudicare della sua possibilità di espatrio in Inghilterra.
Un gran bel film, a cui è innegabile il pollice su, assolutamente da vedere, benché alla sua uscita non fosse capito tanto da attirare l'ira di Churchill che, in tempo di guerra, non gradiva un film ritenuto lesivo della dignità inglese in cui si ritaeva un'amicizia tra un inglese e un tedesco, un'amicizia vera che nulla può abbattare. Negli USA il film fu tagliato di 40 minuti e disposto in ordine cronologico e soltanto nel 1983 è stata ripresentata la versione originale.



TITOLO ORIGINALE: The Life and Death of Colonel Blimp – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1943 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: Roger Livesey, Deborah Kerr, Anton Walbrook GENERE: Drammatico – DURATA: 163 min

16 giugno 2011

IL SOSPETTO (1941)


If you're going to kill someone, do it simply.
Generalmente non ritenuto dalla critica uno dei migliori film di Hitchcock, Il sospetto, tratto dal romanzo Before the Fact di Francis Iles, pseudonimo di Anthony Berkeley, rimane comunque un ottimo thriller psicologico con un'importante componente romantica; inoltre è anche il primo dei quattro film che il maestro inglese girò con Cary Grant.
L'attore di origini inglesi interpreta qui il dongiovanni e giocatore Johnnie, che, durante un viaggio in treno in prima classe, dove si è infiltrato pur avendo un biglietto di terza, incontra la timida e bella Lina, di ricca famiglia. Rincontratisi successivamente, Lina, ormai innamorata nonostante la reputazione dell'uomo non sia proprio esemplare, cede al corteggiamento, andando contro il volere della famiglia. Venuta a conoscenza delle reali disastrose condizioni in cui il marito versa soltanto dopo la luna di miele, Lina lo esorta a cambiare vita e a trovare un lavoro onesto, ma Johnnie non smette con i suoi vizi. Dopo che questi viene licenziato per via di un furto di denaro, Lina arriva a sospettare ch'egli possa essere addirittura un assassino quando Beaky, l'amico con cui Johnie aveva appena fondato una nuova società, muore. Il sospetto nella donna cresce a tal punto ch'ella, alla fine, teme per la sua stessa vita.
Dopo la fase ben riuscita dell'innamoramento con il solito fascino da vendere di Grant a cui tutte cadrebbero fra le braccia, ma su cui aleggia fin da subito una luce sinistra, il film, senza dubbio da pollice su, si perde un poco nella parte centrale allungandosi forse più del dovuto con troppe situazioni simili che si susseguono per poi riprendersi nel finale, raggiungendo l'apice nella penultima e famosissima scena del latte che Johnnie porta alla moglie e che si presume avvelenato. Per migliorarne l'effetto, Hitchcock fece mettere una lampadina nel bicchiere. Il finale, comunque, è diverso da quello del libro, fornendo così un punto di vista e un'interpretazione totalmente diversi della vicenda, perché così volle la produzione nonostante la volontà contraria del regista che si è poi sempre lamentato della conclusione. La Fontaine, alla seconda e ultima prova con Hitchcock, sebbene un poco antipatica nella sua perfezione di moglie esemplare, regge bene il ruolo su cui verte tutta l'impalcatura, tanto da aver meritato l'Oscar, uno dei tre vinti dal film.


TITOLO ORIGINALE: Suspicion – PRODUZIONE: USA 1941 – REGIA: Alfred Hitchcock – CAST: Cary Grant, Joan Fobtaine, Cedric Hardwicke, Nigel Bruce – GENERE: Thriller – DURATA: 93 min