Qualche sera fa hanno dato al Teatro Verdi di Pisa Roman e il suo cucciolo, spettacolo diretto e interpretato da Alessandro Gassman, tratto da Cuba & His Teddy Bear del drammaturgo statunitense, figlio di una portoricana e di un cubano di origini russe, scoparso a soli 34 anni, Reinaldo Povod. Portata negli anni '80 al successo sulla scena anche da Robert De Niro, l'opera è stata adattata da Edoardo Erba, che all'immigrazione cubana negli Usa ha sostituito, come tema, quella rumena in Italia.
Nel quartire Casilino di Roma, in un miscuglio di etnie, Roman è uno spacciatore di droga, che, vivendo tra miseria e degradazione, cerca di assicurare un futuro, migliore del suo, al figlio, il suo «cucciolo». Questo, però, non ha un rapporto sincero con il padre, che, a sua volta, non lo capisce. Per uscire da quella situazione familiare e sociale, il figlio, infatti, frequenta personaggi poco raccomandabili e gradualmente diventa dipendente dall'eroina. Dramma sociale e familiare, quindi, ma per nulla riuscito. Tanto per cambiare, però, ha vinto il premio Ubu come miglior spettacolo del 2010 e quello, per il miglior attore sotto i trent'anni, andato a Giovanni Ansaldo, il «cucciolo», che recita come se stesse in una puntata dei Liceali. Gassman si sforza di dare il meglio, ma le capacità sono quelle che sono, urla di più o urla di meno e questo è tutto. Non si capisce, poi, perché, sebbene interpreti un rumeno, abbia un accento russo, che, insieme agli altri accenti e dialetti sfoggiati dagli altri attori, mina, a volte, la comprensibilità stessa delle parole.
A tratti mortalmente noioso, soprattutto nel primo dei due atti, l'opera, con esito tragico, tratta in maniera banale e scontata temi importanti. Pollice giù, impietosamente.
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