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26 giugno 2011

IL GIARDINO DELLE STREGHE (1944)

 
A pleasing land of drowsy head it was, 
Of dreams that wave before the half-shut eye; 
And of gay castles in the clouds that pass, 
Forever flushing round a summer sky.
Il giardino delle streghe si presenta sin dal titolo originale (The Curse of the Cat People) come il seguito del bello e fortunato Il bacio della pantera (Cat People), ma non prosegue né condivide nulla della storia precedente, a parte i personaggi e alcune tematiche di fondo; e anche il tono dei due film è molto diverso. Il titolo, infatti, fu voluto dalla RKO, desiderosa di bissare il successo del film precedente, nonostante la volonta del produttore Val Lewton di cambiarlo, pare, in Amy and Her Friend.
Dopo la morte di Irena, Oliver e Alice si sono sposati e ora hanno una figlia di sei anni, Amy, sola e immaginativa, che vive in un mondo fatto di sogni e fantasie. Questo la isola ancora di più dai suoi coetanei, che la ritengono strana, dato che è capace di interrompere il gioco appena iniziato per inseguire una farfalla o dare uno schiaffo  al compagno che quella farfalla uccide. Il padre non è molto contento dello stato della figlia e teme che su di lei incomba lo stesso destino di Irena, uccisa dalle sue fantasie e paure. E, per via di una fotografia trovata in un cassetto, proprio della donna prenderà le fattezza l'amica immaginaria di Amy, che compare bellissima nel giardino, il regno delle meraviglie della piccola, che, nel frattempo, ha fatto amicizia con la vecchia Julia Harren, che vive nella vecchia casa accanto con la figlia che ritiene un'impostora.
Il film segna un doppio debutto alla regia, quello di Gunther von Fritsch, che aveva girato fino ad allora solo cortometraggi, e quello di Robert Wise (West Side Story), che rimpiazzò il primo, allontanato perché molto indietro con le riprese; e, benché  non graziato dalla stessa maestria registica di Jacques Tourneur, rimane comunque un'opera bella e delicata sull'infanzia, in cui scompaiono quasi del tutto i tocchi orrorifici per lasciare spazio all'immaginazione e alla fantasia. Siamo di fronte al ritratto dolce di un'infanzia isolata e incompresa, alimentata dalla stessa esperienza personale del produttore, che, nel confronto difficile col mondo reale, trova la sua dimensione in un mondo altro, fatto di favole e magia, in cui il tronco forato di un albero può diventare la buca delle lettere, mentre gli adulti non comprendono e non sanno come comportarsi, tormentati dai fantasmi del passato che incombe e non lascia scampo (tema anche del primo film), aggravando ulteriormente la situazione. Anche i momenti più propriamente horror, allora, sono di stampo fiabesco, come per la vecchia casa infestata tra ombre e grandi scalinate o per il racconto, fatto dalla vecchia proprietaria della casa, della leggenda di Sleepy Hollow, in cui quest'horror fiabesco raggiunge il suo massimo.
Come nel Bacio della Pantera, molte cose, in questo film bello e gentile, restano taciute e allusive, consegnate alla sensibilità dello spettatore (mai si capisce, per esempio, se il fantasma con cui la piccola Amy stringe amicizia sia davvero tale o solo un frutto della sua immaginazione), tant'è che è stato tentato un parallelo con la storia dell'Alice di Carroll (Alice è il nome della madre di Amy, che è spesso vestita come il modello letterario; la signora della vecchia, che ricorderebbe la Duchessa pazza, offre un tea party alla sua giovane visitatrice). Peccato, alla fine, per quest'opera molto apprezzata anche da Joe Dante, che i dialoghi non siano proprio il massimo e lascino spesso a desiderare.
Alla fine della sua carriera, Simone Simon ammise che non amò mai il film e che il cast accettò di girarlo come una sorta di obbligo, di ricompensa, che doveva a Lewton. 

TITOLO ORIGINALE: The Curse of the Cat People – PRODUZIONE: USA 1944 – REGIA: Robert Wise & Gunter von Fritsch – CAST: Simone Simone, Kent Smith, Jane Randolph, Ann Carter – GENERE: Horror – DURATA: 70 min

25 giugno 2011

SCALA AL PARADISO (1946)


Don't be upset about the parachute, I'll have my wings soon anyway, big white ones. I hope it hasn't gone all modern, I'd hate to have a prop instead of wings! 
Con Scala al Paradiso siamo di fronte al primo dei film imprescindibili e assolutamente da vedere della coppia Powell & Pressburger, un capolavoro altamente inventivo, pieno zeppo di trovate, assurdo e meraviglioso.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, il capitano Peter Carter, di ritorno da un'azione di bombardamento, col velivolo danneggiato e il paracadute fuori uso, stabilisce un contatto radio coll'operatrice americana June, annunciandole che per lui non ci sono più speranze e che preferisce gettarsi nel vuoto piuttosto che finire arrostito nel suo aereoplano. La donna, colpita dalla determinazione dell'uomo, si commuove e i due, in quel breve scambio telefonico davanti alla morte, si innamorano. Peter si butta, ma miracolosamente si salva, ritrovandosi su una spiaggia soltanto con un certo mal di testa, e, sempre come per miracolo, proprio lì ritrova June. C'è però stato uno sbaglio: l'incaricato che doveva portarlo nell'altro mondo l'ha mancato per via della nebbia inglese e ora per Peter è tempo di lasciare questa vita. L'uomo reagisce, non  ritenendolo giusto, perché le condizioni non sono più quelle di partenza, ora c'è June e l'amore che prova per lei. Otterrà la possibilità di appellarsi al tribunale dell'aldilà, mentre nel frattempo, sulla terra, viene seguito da un dottore per i suoi disturbi alla testa che lo porteranno a sottoporsi a un difficile intervento chirurgico proprio quando, nell'altro mondo, si sta svolgendo il processo.
Il film nasce su suggerimento del governo inglese che voleva promuovere, così come avvenuto anche per Un racconto di Canterbury, le relazioni tra Inglesi e Americani che si erano deteriorate alla fine del conflitto colla presenza di numerosi soldati americani su suolo britannico, ma si rivela un fantasioso apologo sull'amore e i sentimenti, in cui la componente romantica domina su quella politica, tra l'altro stemperata dal tipico humour inglese, in cui l'assunto principale è che «a single tear shed for love might stop heaven in its track», una lacrima di amante raccolta su un fiore che è prova della verità dell'amore tra i due protagonisti, sbocciato, all'inizio, in una sequenza alternata che fa già commuovere dopo appena dieci minuti dall'inizio del film, bello e prezioso anche per la parte più tecnica, con un'alternanza di colore e bianco e nero (originalmente girato in tachnicolor e per questo perlaceo) invertita rispetto al precedente del Mago di Oz. Qui è l'aldilà, per altro mai inteso come paradiso e che può semplicemente essere frutto della mente del protagonista, ad avere l'asetticità ascetica del bianco e nero (tant'è che il divertentissimo messaggero celestiale, un aristocratico francese vittima della Rivoluzione, giunto sulla terra, può esclamare: «one is sterved for Technicolor up there!), mentre la terra sprigiona tutta la sua immensa varietà di colori. 
Altre trovate importanti sono la famosa scala che ad un certo punto congiunge i due mondi, a cui si riferisce il titolo nella versione americana (Stairway to Heaven) e italiana; l'operazione chirurgica vista in soggettiva dal punto di vista dell'occhio di Niven che si chiude; e il fatto che il tempo si fermi, come nella scena del ping pong, quando compare il messaggero dell'aldilà.
Un capolavoro fantastico per forma e contenuti, sorretto da un'ottima prova d'attori, che la rivista Total Film nel 2004 ha inserito al secondo posto dei migliori film britannici dopo solo Carter, benché all'uscita i critici inglesi non fossero troppo contenti del messaggio del film che ritenevano troppo pro-americano.
   
TITOLO ORIGINALE: A Matter of Life and Death – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1946 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: David Niven, Kim Hunter, Roger Livesey – GENERE: Fantasy – DURATA: 104 min

24 giugno 2011

IL BACIO DELLA PANTERA (1942)

  
I like the dark. It's friendly.
Primo di una lunga serie di film prodotti per la RKO da Val Lewton, assunto per realizzare prodotti horror di richiamo commerciale con budget striminzito, al di sotto dei 150.000 dollari, e con titoli forniti dalla stesso studio, che doveva riprendersi dal flop clamoroso dell'Orgoglio degli Amberson di Welles, di cui venne riciclato anche il set, Il bacio della pantera, nato quindi come horror di serie B, è un gioiello che ancora oggi non ha perso il suo smalto, conservando intatto tutto il suo fascino.
L'ingegnere navale Oliver Reed incontra allo zoo la bella e misteriosa Irena Dubrovna, che mostra una strana attrazione per la gabbia della pantera, se ne innamora e la sposa. La donna, però, si ritiene vittima di un'antica maledizione della sua terra, la Serbia, che la vorrebbe trasformata, se eccitata sessualmente, in una feroce pantera capace di uccidere il proprio amato. Oliver, tuttavia, ritiene queste solo paure infondate, e fa vedere la moglie da uno psichiatra, consigliatogli dalla collega Alice, da sempre segretamente innamorata di lui e a cui lui chiede conforto. La loro relazione scatenerà la furia di Irena.
L'orribile e il pauroso non accadono mai apertamente e, mai mostrati realmente, nascono in maniera sottile e si alimentano delle suggestioni e delle paure che il film riesce a creare e a istillare nella mente dello spettatore, grazie ad un sapiente uso delle luci e delle ombre, che spesso avvolgono i personaggi, soprattutto la protagonista, una magnifica Simone Simon, che ispira partecipazione e timore allo stesso tempo, e a scene memorabili ricche di trovate, come quella in cui Alice, nell'oscurità illuminata da pochi lampioni, si sente seguita fino a quando quello che pare un verso di pantera non è altro che il freno di un autobus, o quella in cui sempre Alice si crede attaccata in piscina. La stessa trasformazione felina di Irena non viene mai mostrata apertamente, rimanendo essa stessa un mistero.
Affascinante è anche il sottotesto sessuale basato sulla paura della propria sessualità che porta la protagonista a mai consumare il suo matrimonio e a temere anche solo di baciare l'uomo che ama, ma è paura anche di quella parte oscura e nascosta, recondita e sconosciuta, di noi stessi. E i miti e le superstizioni della nostra terra ci inseguono sempre, anche se quella terra è stata abbandonata. Ancora oggi un ottimo film, bello suggestivo e malinconico.
   
TITOLO ORIGINALE: Cat People – PRODUZIONE: USA 1942 – REGIA: Jacques Tourneur – CAST: Simone Simon, Kent Smith, Tom Conway – GENERE: Horror – DURATA: 73 min

23 giugno 2011

SO DOVE VADO (1945)


I know where I'm going
And I know who's going with me
I know who I love
And my dear knows who I'll marry. 
Costretti ad attendere il technicolor per Scala al paradiso, Powell e Pressburger, allora, mettono su un gioiellino meraviglioso in bianco e nero, per la maggior parte ambientato nel paesaggio selvaggio e magnifico delle Ebridi scozzesi, splendidamente riprese, che ha molti punti di contatto con il precedente Un racconto di Canterbury.
Joan Webster, interpretata da Wendy Hiller che ha preso il ruolo inizialmente pensato per Deborah Kerr, fin da bambina sa dove sta andando e che cosa vuole ottenere dalla vita. Per avere il meglio, ha deciso di sposare un ricco industriale di mezza età, che deve raggiungere nell'isola di Killoran, dove risiede, per le nozze. Giunta sull'isola vicina di Mull, le è impedito raggiungere il promesso sposo per via del tempo inclemente che rende il mare burrascoso. Costretta a soggiornale a Mull, nell'attesa del bel tempo, Joan si innamora dell'ufficiale di marina in licenza Torquil McNeil, interpretato da Livesey che, impegnato a Londra in teatro, mai raggiunse la Scozia dove fu impiegata una controfigura. Anche lui è diretto a Killoran, antico possedimento della famiglia ora ceduto al ricco industriale. Contro la volontà del suo cuore e della natura, Joan decide comunque di imbarcarsi, corrompendo un giovane del posto, incurante dei pericoli del mare in tempesa. Torquil, nonostante sia contrariato, si imbarca anche lui, consapevole del rischio che corrono.
I Know Where I'm Going, il cui titolo riprende una bellissima canzone tradizionale scozzese e irlandese che apre e chiude l'opera, racconta di una storia di amore, sì tradizionale e risaputa, ma scritta, diretta e interpretata magnificamente, in cui tutto è perfettamente al posto giusto e tutto funziona egregiamente. All'amore di comodo, pianificato scrupolosamente come tutte le cose nella vita di Joan, per l'industriale, appettibile solo per il denaro (infatti in due non si vedono mai insieme e dell'uomo si sente solo la voce) si contrappone l'amore del cuore, che sboccia quando e dove meno te lo aspetti, che sconvolge tutti i piani, e a cui è sciocco, oltreché impossibile, resistere.
La scoperta del vero sentimento avviene nel paesaggio incontaminato e rurale delle isole scozzesi, che ha una funzione analoga a quello delle campagne del Kent di A Canterbury Tale, e cioè quella di risvegliare sentimenti naturali e semplici, ma maggiormente "umani", in personaggi che hanno sacrificato se stessi alle richieste della società moderna. E allora l'innamoramente coincide colla scoperta delle bellezze di quel posto bello e primitivo, colle sue danze e i canti in gaelico e gli strani e bizzarri personaggi, gentili e rudi al contempo, come l'ambiente che abitano. E come nel film precedente sul presente si riverberava la tradizione antica dei pellegrini diretti a Canterbury, qui è il mito con le sue leggende e maledizioni a udirsi ancora tra gorghi e manieri.
In definitiva un capolavoro bellissimo che parte in maniere veloce e frizzante come una screwball comedy con trovate magnifiche e divertenti (il cappello a cilindro che si dissolve nel fumaiolo della locomotiva, il sogno bizzarro di Joan in cui il paesaggio scozzese si ricopre di tartan) per poi cedere il passo allo splendore naturalistico delle isole scozzesi, mostrando «the profound effects of nature on people, and that fact the universe can be wondrous and magical place if one keeps open to its vast mysteries».
Il critico Barry Norman lo ha incluso nei 100 migliori film di tutti i tempi, mentre Martin Scorsese ha detto: «I reached the point of thinking there were no more masterpieces to discover, until I saw I Know Where I'm Going».
He shall be chained to a woman until the end of his days and he shall die in his chains.
TITOLO ORIGINALE: I Know Where I'm Going – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1945 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: Roger Livesey, Wendy Hiller, George Carney, Pamela Brown – GENERE: Commedia – DURATA: 92 min

22 giugno 2011

CHRISTOPHER AND HIS KIND (2011)


You're lucky, you're not burned by the concept of sin. And it's a sin, Christopher...although I fully intend to carry on sinning.
Christopher and His Kind è un film per la televisione prodotto dalla BBC molto ben curato in tutti i suoi aspetti, come è consueto per le produzioni della rete, che vanta come protagonista e star quel Matt Smith che è l'undicesimo  dottore nella serie Doctor Who e a cui, proprio per questo, per conservarne la figura "pulita" e adatta a tutta la famiglia, la BBC ha tassativamente proibito di apparire nudo.
Il film drammatizza il libro autobiografico dello stesso titolo di Christopher Isherwood, adattato da Kevin Elyot, in cui lo scrittore ricorda la sua vita nella Berlino dei primi anni '30. La storia viene raccontata a ritroso mentre Isherwood, ormai scrittore a Los Angeles, davanti alla macchina da scrivere si accinge a mettere nero su bianco la sua esperienza a Berlino, in cui si era recato essenzialmente per i ragazzi, come dice lui stesso, accettando l'invito del suo amico e amante occasionale, il poeta W. H. Auden, fuggendo la ristrettezza dell'Inghilterra del tempo e l'autorità della madre. Appena giunto, Christopher si butta alla scoperta della effervescente vita omosessuale del posto e, trovato impiego come insegnante d'inglese, incontrerà strani e bizzarri personaggi, come Jean Ross, che, col sogno di diventare un giorno attrice a Hollywood, canta al cabaret. Nel frattempo, però, il Nazismo prende piede e Christopher decide di tornare in Inghilterra dove cerca di portare anche Heinz, spazzino colla madre malata e il fratello maggiore nazista, con cui ha intanto intrecciato una affettuosa relazione, ma non vi riesce. Lo rincontrerà, sposato e con figli, solo molti anni dopo.
Il film, girato a Belfast, è superbamente interpretato, non soltanto, in una prova mimetica, da Smith, che si è preparato studiando video di Isherwood e incontrando il suo compagno di lunga data, Don Bachardy, ma anche dal resto del cast, in cui spiccano Lindsay Duncan nel ruolo della madre chiusa e autoritaria – e i duetti tra i due sono tra le cose migliori del film – e Pip Carter nel ruolo di Auden a cui sono date le battute migliori («I do loathe the sea. It's so wet and sloppy»). La giovane Imogen Poots, invece, deve vedersela col ruolo difficile di Jean Ross, non fosse altro per il fatto che ha ispirato la Sally Bowles di Cabaret, ma vi riesce egregiamente, sguaiata e impiastricciata di trucco. 
Anche la ricostruzione storica e d'ambiente è più che accettabile, considerata anche la natura televisiva dell'opera, ma, nonostante tutto, il film non convince pienamente. Dopo una prima mezz'ora veloce, divertente e ben girata, con una Berlino gaia che non ti aspetti, il film si perde nella parte restante, via via più drammatica, un po' confusa e non del tutto riuscita, che non sembra mai raggiungere la necessaria intensità. Alla fine, tirando le somme, sufficienza più che meritata, anche per il coraggio di mettere in scena l'omosessualità senza filtri e pregiudizi.

TITOLO ORIGINALE: Christopher and His Kind – PRODUZIONE: Gran Bretagna 2011 – REGIA: Geoffry Sax – CAST: Matt Smith, Imogen Poots, Lindsay Duncan, Toby Jones – GENERE: Biografico – DURATA: 89 min – MESSA IN ONDA: 19 Marzo 2011 (BBC 2)

21 giugno 2011

UN RACCONTO DI CANTERBURY (1944)

Whan that Aprill, with his shoures soote
The droghte of March hath perced to the roote
And bathed every veyne in swich licour,
Of which vertu engendred is the flour... 
Dopo la grandeur di Duello a berlino, Powell e Pressburger si cimentanto in un film più piccolo e in bianco e nero. Non potendo sottrarsi neanche loro, in tempo di guerra, ad accogliere l'istanza di pellicole propagandiste sia per il mercato interno sia per il pubblico americano, a cui bisognava spiegare per quali ragioni e per quali valori la nazione si era impegnata nel conflitto bellico, il duo inglese riesce comunque a ricavarne un'opera personale e lirica, mutevole ed eterogenea e per questo imperfetta, ma che vale la visione.
Il titolo ovviamente si rifà ai Racconti di Canterbury di Chaucer, a cui viene ricondotta la vicenda contemporanea, ambientata durante il secondo conflitto mondiale. A Chillingbourne, un piccolo borgo del Kent sulla strada per Canterbury, si incontrano tre personaggi. C'è Alison, una ragazza londinese, precedentemente commessa, che ora vuole inmpegnarsi in fattoria come Land girl, dopo che il suo amato è stato dato disperso in guerra, e c'è Peter, sergente inglese in licenza prima della partenza per il fronte, che ha studiato l'organo al conservatorio ma che ha suonato solo nei cinema. C'è poi Bob Johnson, sergente americano interpretato da un attore non professionista e davvero sergente, che non riceve da tempo lettere dalla sua fidanzata e che, diretto a Canterbury, sbaglia stazione, incontrando gli altri due. Avventurandosi nel paese, Alison viene aggredita dal Glue Man che tormenta le ragazze locali imbrattandone i capelli di colla. I tre cominciano a girare per il pase e a conoscerne la gente per venire a capo del mistero, ma vengono assorbiti e affascinati dalla bellezza del luogo e dal fascino della storia antica dei pellegrini che andavano a Canterbury per ricevere grazie o espiare peccati. I sospetti si concentrano sul magistrato locale, promotore della memoria antica.
La risoluzione del caso dell'uomo della colla, su cui all'inizio sembra impostata la vicenda, in realtà è solo un pretesto per tenere legati i moderni pellegrini alla stessa maniera dei racconti di Chaucer, e infatti il colpevole si scopre quasi subito. A Canterbury Tale è essenzialmente un film lirico e delicato in cui a dominare è la campagna inglese colla sua gente e i suoi riti che sembrano continuare come sempre nonostante tutto, nonostante la guerra, tenuta ai margini della vicenda e che fa capolino, colle sue case distrutte e abbattute, solo sul finale. I tre protagonisti, allora, (ri)scoprono un mondo naturale e incantato, in contrasto con quello dei tempi nuovi, che o non avevano mai conosciuto o avevano dimenticato, in connessione col tempo passato, raffiguarato nella bellissima scena d'apertura, in cui i pellegrini passavano per quelle strade, fiduciosi. E secoli dopo, ancora, «they're all searchers, looking for something, and the answer to all their troubles can be found in Canterbury». Assunto lo spirito di quella gente antica, i tre protagonisti possono andare finalmente a Canterbury, ad attendere il miracolo, perché ai miracoli bisogna credere affinché avvengano. E allora, se è per difendere questo patrimonio fatto di tradizione, si perdonerà anche qualche azione non troppo carina.
Benché non poche siano le imperfezioni proprio per la sua natura fluida e mutevole, parliamo comunque di un film bello e lieve, molto buono, ed è un peccato che, dopo essere stato un flop commerciale a suo tempo, rimanga ancora oggi un film poco noto e apprezzato della coppia Powell & Pressburger.

TITOLO ORIGINALE: A Canterbury Tale – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1944 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: John Sweet, Eric Portman, Sheila Sim, Dennis Price – GENERE: Commedia – DURATA: 124 min

20 giugno 2011

DUELLO A BERLINO (1943)


War starts at midnight!
Primo film della coppia delle meraviglie Powell-Pressburger realizzato attraverso The Archers, la loro stessa casa di produzione, Duello a Berlino è anche il loro primo film girato in technicolor, che, come nelle successive produzioni, è smagliante e meraviglioso. Inoltre, compare nei titoli di testa, per la prima volta e in maniera straordinaria per l'epoca, la dicitura "scritto, prodotto e diretto da...".
 Si narra dell'intero arco esistenziale dell'ufficiale britannico Clive Candy, un molto bravo Livesey, dalla Guerra boera alla Prima guerra mondiale fino ad arrivare alla Seconda. Giunto nel 1902 a Berlino per difendere l'onore dell'esercito inglese dalle accuse tedesche, Candy finirà per scontrarsi in duello con un ufficiale del posto, Theo, a cui sarà legato per tutta la vita da un'amicizia imperitura, che vince distanze e guerre. A lui Candy concede anche la donna di cui solo successivamente si scopre innamorato e che in un certo senso ricercherà per tutta la vita. Ormai in piena guerra con i nazisti, durante una esercitazione dell'Home Guard, il protagonista, ormai vecchio, viene fatto "prigioniero" dai suoi stessi uomini.
Come indica il titolo originale (The Life and Death of Colonel Blimp), il film trae spunto dalle strisce satiriche e antimilitariste di David Low, per distanziarsene in una riflessione su temi importanti quali la guerra e come questa cambi e si evolva nel tempo; il tempo che passa e l'uomo che invecchia; il rapporto tra le generazioni; l'amore e come questo segni la vita umana. Insomma, Duello a Berlino, salutato dal critico Dave Kehr «as very possibly the finest film ever made in Britain», benché sia leggermente inferiore ai capolavori della coppia di cineasti inglesi (Scala al paradiso, Scarpette rosse), si presenta come un grande film in tutti i sensi; per lunghezza (ben 163 minuti che forse potevano essere accorciati), complessità e ambizioni. 
La vita di Candy viene narrata in flashback dopo che questi, all'inizio del film, è fatto prigioniero nel bagno turco dove si trova da uno spavaldo e giovane ufficiale che ha cominciato prima l'esercitazione benché l'ordine dicesse che «wars starts at midnight». I due, venuti alle mani, finiscono in acqua, dalla quale, riavvoltosi il tempo, riesce un Candy giovane e in piena forma. Dall'inizio, quindi, vengono a galla alcuni dei temi che ricorreranno per tutta la durata del film. Innanzitutto, c'è disparità incolmabile tra la visione della guerra, arcaica e ottocentesca, di Candy, che la ritiene ancora una prova da gentlemen basata su mezzi onesti, e quella caratteristica dei tempi nuovi del giovane ufficiale, che viene meno agli ordini e con l'inganno "cattura" il suo superiore perché così ormai funziona (vedi Pearl Harbor), e del nazismo, la più grande minaccia mai affrontata dall'umanità secondo Theo ormai espatriato, che non esita a macchiarsi dei più grandi orrori e contro cui forse non è così disonorevole abbassarsi agli stessi mezzi. 
Portatore di una visione ormai superata e anacronistica, Candy può essere insultato da quel giovane soldato presuntuso, portando all'attenzione un altro tema centrale, quello dell'uomo divenuto vecchio che cerca ancora un posto di utilità nel mondo, ma viene rigettato e deriso dalle nuove generazioni. Al giovane che lo insulta Candy risponde: «You laugh at my belly but you don't know how I got it! You laugh at my mustache but you don't know why I grew it!», ricordandogli che diventerà vecchio, come lui è stato giovane. Alla fine, però, Candy, davanti alla sua casa bombardata, lo perdonerà, perché, appunto, anche lui era così una volta, capendo che, dopo tutto, non è cambiato affatto e che la sua vita può avere ancora un senso.
La tematica amorosa è legata, invece, alla giovane bella e brava Deborah Kerr, scelta da Powell che pensava che «she would be a star one day», che interpreta ben tre ruoli diversi: l'amica a Berlino che diviene la moglie di Theo ma a cui Candy rimmarrà legato nel ricordo tutta la vita ricercando le sue fattezze in altre donne; la crocerossina vista in un convento in Francia durante la guerra che diviene la moglie di Candy e la giovane autista di lui da vecchio.
Numerose le scene imperdibili, a cominciare, ovviamente, dal duello che, appena iniziato, viene abbandonata dalla macchina da presa che si allontana al di fuori del ginnasio, sotto la neve di Berlino, nella carrozza dove la Kerr aspetta trepidante, dando luogo ad una delle più belle ellissi della storia del cinema; o dal monologo struggente di Theo davanti a chi deve giudicare della sua possibilità di espatrio in Inghilterra.
Un gran bel film, a cui è innegabile il pollice su, assolutamente da vedere, benché alla sua uscita non fosse capito tanto da attirare l'ira di Churchill che, in tempo di guerra, non gradiva un film ritenuto lesivo della dignità inglese in cui si ritaeva un'amicizia tra un inglese e un tedesco, un'amicizia vera che nulla può abbattare. Negli USA il film fu tagliato di 40 minuti e disposto in ordine cronologico e soltanto nel 1983 è stata ripresentata la versione originale.



TITOLO ORIGINALE: The Life and Death of Colonel Blimp – PRODUZIONE: Gran Bretagna 1943 – REGIA: Michael Powell & Emeric Pressburger – CAST: Roger Livesey, Deborah Kerr, Anton Walbrook GENERE: Drammatico – DURATA: 163 min

16 giugno 2011

IL SOSPETTO (1941)


If you're going to kill someone, do it simply.
Generalmente non ritenuto dalla critica uno dei migliori film di Hitchcock, Il sospetto, tratto dal romanzo Before the Fact di Francis Iles, pseudonimo di Anthony Berkeley, rimane comunque un ottimo thriller psicologico con un'importante componente romantica; inoltre è anche il primo dei quattro film che il maestro inglese girò con Cary Grant.
L'attore di origini inglesi interpreta qui il dongiovanni e giocatore Johnnie, che, durante un viaggio in treno in prima classe, dove si è infiltrato pur avendo un biglietto di terza, incontra la timida e bella Lina, di ricca famiglia. Rincontratisi successivamente, Lina, ormai innamorata nonostante la reputazione dell'uomo non sia proprio esemplare, cede al corteggiamento, andando contro il volere della famiglia. Venuta a conoscenza delle reali disastrose condizioni in cui il marito versa soltanto dopo la luna di miele, Lina lo esorta a cambiare vita e a trovare un lavoro onesto, ma Johnnie non smette con i suoi vizi. Dopo che questi viene licenziato per via di un furto di denaro, Lina arriva a sospettare ch'egli possa essere addirittura un assassino quando Beaky, l'amico con cui Johnie aveva appena fondato una nuova società, muore. Il sospetto nella donna cresce a tal punto ch'ella, alla fine, teme per la sua stessa vita.
Dopo la fase ben riuscita dell'innamoramento con il solito fascino da vendere di Grant a cui tutte cadrebbero fra le braccia, ma su cui aleggia fin da subito una luce sinistra, il film, senza dubbio da pollice su, si perde un poco nella parte centrale allungandosi forse più del dovuto con troppe situazioni simili che si susseguono per poi riprendersi nel finale, raggiungendo l'apice nella penultima e famosissima scena del latte che Johnnie porta alla moglie e che si presume avvelenato. Per migliorarne l'effetto, Hitchcock fece mettere una lampadina nel bicchiere. Il finale, comunque, è diverso da quello del libro, fornendo così un punto di vista e un'interpretazione totalmente diversi della vicenda, perché così volle la produzione nonostante la volontà contraria del regista che si è poi sempre lamentato della conclusione. La Fontaine, alla seconda e ultima prova con Hitchcock, sebbene un poco antipatica nella sua perfezione di moglie esemplare, regge bene il ruolo su cui verte tutta l'impalcatura, tanto da aver meritato l'Oscar, uno dei tre vinti dal film.


TITOLO ORIGINALE: Suspicion – PRODUZIONE: USA 1941 – REGIA: Alfred Hitchcock – CAST: Cary Grant, Joan Fobtaine, Cedric Hardwicke, Nigel Bruce – GENERE: Thriller – DURATA: 93 min

26 marzo 2011

ROMAN E IL SUO CUCCIOLO (prosa)


Qualche sera fa hanno dato al Teatro Verdi di Pisa Roman e il suo cucciolo, spettacolo diretto e interpretato da Alessandro Gassman, tratto da Cuba & His Teddy Bear del drammaturgo statunitense, figlio di una portoricana e di un cubano di origini russe, scoparso a soli 34 anni, Reinaldo Povod. Portata negli anni '80 al successo sulla scena anche da Robert De Niro, l'opera è stata adattata da Edoardo Erba, che all'immigrazione cubana negli Usa ha sostituito, come tema, quella rumena in Italia.
Nel quartire Casilino di Roma, in un miscuglio di etnie, Roman è uno spacciatore di droga, che, vivendo tra miseria e degradazione, cerca di assicurare un futuro, migliore del suo, al figlio, il suo «cucciolo». Questo, però, non ha un rapporto sincero con il padre, che, a sua volta, non lo capisce. Per uscire da quella situazione familiare e sociale, il figlio, infatti, frequenta personaggi poco raccomandabili e gradualmente diventa dipendente dall'eroina. Dramma sociale e familiare, quindi, ma per nulla riuscito. Tanto per cambiare, però, ha vinto il premio Ubu come miglior spettacolo del 2010 e quello, per il miglior attore sotto i trent'anni, andato a Giovanni Ansaldo, il «cucciolo», che recita come se stesse in una puntata dei Liceali. Gassman si sforza di dare il meglio, ma le capacità sono quelle che sono, urla di più o urla di meno e questo è tutto. Non si capisce, poi, perché, sebbene interpreti un rumeno, abbia un accento russo, che, insieme agli altri accenti e dialetti sfoggiati dagli altri attori, mina, a volte, la comprensibilità stessa delle parole.
A tratti mortalmente noioso, soprattutto nel primo dei due atti, l'opera, con esito tragico, tratta in maniera banale e scontata temi importanti. Pollice giù, impietosamente.

13 marzo 2011

MARCHLANDS (stagione 1 / 2011)


Bella sorpresa questo Marchlands, serie in cinque puntate dell'inglese ITV, che porta una ventata di molto lieve horror in un programma, pensato per la prima serata, che gira intorno alla misteriosa morte per annegamento di una bambina alla fine degli anni '60. Intorno a questa vicenda ruotano le storie di tre famiglie, che, in epoche diverse, abitano la stessa casa nello Yorkshire.
Nel 1968 assistiamo alla difficile elaborazione del lutto di Ruth e Paul Bowen, giovani genitori di Alice, la bambina annegata, che vivono insieme ai genitori di lui, Robert ed Evelyn. La morte della figlia porta la loro relazione ad uno stallo, tra silenzi e sensi di colpa. Ruth, poi, non crede che sia stato tutto un incidente, come sembrerebbe a prima vista.
La famglia degi anni '80 è formata da Eddy ed Helen Maynard con i figli Scott ed Emy. Quest'ultima vede e parla con Alice, che gli altri pensano una sua  amica immaginaria. Quando la cosa diventa seria, Emy viene sottoposta ai controlli medici.
Ai giorni nostri, Mark e Nisha, in attesa di una bambina, si sono trasferiti da poco a Marchlands. Durante i lavori di ristrutturazione, Nisha, grazie anche al rinvenimento di una foto nascosta e di un affresco, diventa ossessionata dalla storia della casa e della bambina che l'abitava, tanto da chiamare la figlia allo stesso modo. 
Tutte queste vicende, che, nel primo episodio, sembrano staccate e accomunate solo dal fatto di avvenire nello stesso posto, a partire dal secondo si intrecciano progressivamente, perché personaggi dell'epoche precedenti compaiono sempre più spesso in quelle successive. Al mistero intorno alla morte di Alice, che prende lo spettatore fin dall'inizio e tiene alta l'attesa fino alla fine, sebbene i momenti thriller o paurosi siano pochi e quasi mai completamente riusciti, si combina l'attenzione ai cambiamenti dei nuclei familiari coinvolti: i teneri Ruth e Paul non riescono più a trovare un rapporto, anche grazie alle continue ingerenze dei genitori di lui; Eddy ed Helen sono tesi e preoccupati per la salute della figlia, tanto da non accorgersi che è il figlio ad evere problemi in questo senso, e tra loro nasce una spaccatura quando lui comincia a credere alla bambina e alla natura paranormale delle cose che succedono in casa, a dispetto della razionalità di lei, così come accade anche a Mark e Nisha, con lei convinta che quella casa nasconda un mistero riguardante la vita passata del compagno.
Il finale è deludente, perché non dà quello che ci si attende – una morte violenta per qualche ragione terribile – ed appare alquanto scialbo, ma questo non toglie il pollice su alla serie. Certo, si poteva osare di più e fare meglio, ma va bene così.

TITOLO ORIGINALE: Marchlands – PRODUZIONE: Gran Bretagna – RETE: ITV 1 – GENERE: Drammatico / Paranormale – DURATA: 45 min – SERIE: 1 – PUNTATE: 5 –  MESSA IN ONDA: 3 Febbraio - 3 Marzo 2011 (ITV 1)

12 marzo 2011

SOUTH RIDING (miniserie / 2011)

Dramma in costume ambientato negli anni '30, South Riding è stato oggetto di pareri contrastanti dal pubblico e dalla critica inglese, ma a noi è piaciuto non poco. Divisa in tre parti da un'ora, la miniserie è tratta dal libro omonimo, pubblicato postumo nel 1936, di Winifred Holtby, ed è ambientata nell'immaginario distretto che le dà il titolo, nello Yorkshire.
L'arrivo da Londra dell'idealista e combattiva Sarah Burton, che ottiene l'incarico di direttrice della scuola femminile locale, ci porta alla scoperta delle vicende del posto. La donna vuole da subito una nuova struttura all'avangurdia per accogliere le ragazze della nuova generazione, il cui fututro non è solo quello di diventare mogli e madri; per questo bisogna pensare alla loro educazione e alla loro realizzazione personale nel mondo del futuro. La sua visione si scontra colla degradazione e l'arretratezza del posto e con qualche membro, chiuso e all'antica, del consiglio municipale, mentre trova la simpatia di Joe Hastell, dalle idee socialiste, che vuole essere parte della ventata di cambiamenti che l'Europa sta vivendo. Sarah si dividerà tra l'amore per lui e quello per Robert Carne, di famiglia prestigiosa ma ora inesorabilmente in declino, con cui la donna all'inizio si scontra. L'uomo è tormentato da un matrimonio andato a male a causa della demenza della moglie, chiusa in una casa di cura, di cui si sente responsabile. Sua figlia Midge, che vive nella paura di essere pazza come la genitrice, insieme a Lydia, di famigia povera, che incontrerà difficoltà nel frequentare la scuola, sono le due ragazze più care a Sarah. Altri personaggi importanti sono un pastore non del tutto casto e puro e Mrs Beddows, amica di vecchia data della famiglia Crane.
Dall'ambientazione suggestiva e dall'ottima recitazione, South Riding parte lento per poi ingranare progressivamente nell'attenzione e nella partecipazione dello spettore, concludendo il climax nella terza parte, da molti giudicata troppo sbrigativa, che è, sì, veloce e senza un momento di pausa (ma è un male?), ma anche ricca di scene belle e di sentimento, che danno degna conclusione all'opera. 
I poveri non si perdono d'animo, mentre chi li governa spesso pensa solo al proprio tornaconto o vorrebbe addirittura speculare sulle abitazioni a loro destinate. L'onestà di pochi si scontra contro l'interesse dei molti; pochi nuovi individui vogliono cambiare le cose e, per farlo, non bisogna arrendersi alle prime difficoltà, ma continuare ad impegnarsi per un futuro migliore. Pollice su.

TITOLO ORIGINALE: South Riding
PRODUZIONE: Gran Bretagna
RETE: BBC One
GENERE: Period drama
DURATA: 60 min
SERIE: 1
PUNTATE: 3 
MESSA IN ONDA: 20 e 27 Febbraio, 6 Marzo 2011 (BBC One) 

2 marzo 2011

ZEN (stagione 1 / 2011)


    Zen è una coproduzione internazionale, ambientata e girata in Italia, della BBC che vede, tra gli altri, anche l'impegno dell'italiana Mediaset. Quest'ultima si vanta di essere intervenuta sulle scelte produttive, ma ci crediamo poco.  Comunque, in primavera, proprio sulle sue reti, la serie dovrebbe andare in onda anche in Italia.
    Il titolo rimanda al nome del protagonista, l'ispettore Aurelio Zen, interpretato da Rufus Sewell, nato dalla penna dello scrittore inglese Michael Dibdin. In ogni episodio assistiamo ad uno o più casi che il nostro cerca di risolvere pressato ora dal capo, ora dal ministero, ora da qualche personaggio influente che vuole che l'inchiesta si concluda nel modo più favorevole. Zen – il cognome pare sia veneziano, come continuano a ripetere ogni due secondi in tutti gli episodi – vorrebbe pure essere integro, e infatti nell'ambiente ha fama per questo, e risolvere i casi nel modo più giusto possibile, ma deve fare i conti con un mondo corrotto in cui ognuno pensa al proprio interesse. Ed anche l'ispettore deve cedere un poco. Proprio qui starebbe l'interesse della serie, che, a differenza dei suoi simili, non mostra un gruppo di duri e puri che fanno di tutto per affermare la giustizia, ma un ambiente in cui i vari poteri cercano di interferire nelle indagini, facendo pressioni su chi ne è incaricato o compromettendo le prove, per proteggere i propri sporchi interessi. Emblema della società contemporanea, anche il protagonista, che si vorrebbe senza macchia, deve sporcarsi della lordura del mondo in cui vive. Tra l'altro si sorride di questo personaggio che, stretto da varie parti sul lavoro, vive ancora con la mamma dopo che il suo matrimonio è fallito.
    Proprio da queste premesse, però, nasce l'aberrazione ideologica di cui la serie si macchia. Lasciando da parte il fatto che, eccetto la Murino che è la segretaria Tania di cui Zen s'innamora, non c'è un italiano in una parte importante, ma tutti i personaggi, italiani, sono interpretati da attori inglesi che sfoggiano tutti gli accenti possibili di Britannia, due sono le principali domande di uno spettatore nostrano:
    1) perché scegliere proprio l'Italia per mostrare la corruzione? Va bene che le cose mostrate succedono davvero in questo paese, ma non sono gli Inglesi a doverci fare la predica.
    2) come sopportare tutti i cliché di cui la serie è strafarcita? L'apice si raggiunge nel primo episodio in cui le indagini si spostanto anche in Abruzzo, che pare ancora quello dell'Ottocento e in cui, al suo arrivo, Zen viene messo in guardia contro i banditi che abitano le montagne e rapiscono gli stranieri. Ossignore! Poi si scopre che il bandito ha accento irlandese. Ossignore doppio!        
    Fatto sta che, dopo l'orribile primo episodio, la serie si riprende e migliora progressivamente fino al terzo e ultimo, che è anche il più bello. Nonostante le cose buone e nonostante qualche tocco d'humour ben riuscito, per quanto detto sopra non può che meritarsi il pollice giù.
    Infine, la BBC ha cancellato la serie in seguito al decrescente ascolto, ma, essendo una coproduzione, non si escludono altri episodi. Si spera di no.

    TITOLO ORIGINALE: Zen
    PRODUZIONE: Gran Bretagna / Germania / Italia
    RETE: BBC One 
    CAST: Rufus Sewell, Caterina Murino, Valentina Cervi, Catherine Spaak
    GENERE: Police drama
    DURATA: 90 min
    SERIE: 1
    EPISODI: 3  
    MESSA IN ONDA: 2, 9 e 16 Gennaio 2011 (BBC One) 

    26 febbraio 2011

    L'APPARTAMENTO (Prosa)


    Ieri sera, al Teatro Verdi di Pisa, hanno dato L'appartamento, commedia tratta dal film capolavoro di Billy Wilder, scritto con il fedele I.A.L. Diamond e vincitore di cinque premi Oscar, che è stato adattato per il teatro dallo stesso Dapporto, che ne  è protagonista insieme a Benedicta Boccoli, insieme ad Edoardo Erba per la regia di Patrick Rossi Gastaldi.
    C.C. Buxter lavora in una compagnia di assicurazioni e, per scalare presto le gerarchie grazie ad una promozione dopo l'altra, presta il proprio appartamento ai superiori a vantaggio delle loro scappatelle. Questa storia, che dà origini a varie situazioni comiche, va avanti fino a quando a volere l'appartemento è il direttore, che, sposato con prole, frequenta la bella Fran Kubelick, addetta all'ascensore, di cui Buxter è segretamente innamorato.
    Si mettono in mostra l'ambizione umana che cerca appagamento come meglio e più velocemente può, in un mondo corrotto fatto di menzogne e sotterfugi. Ma su tutto, carriera, soldi, succeso, può ancora trionfare l'amore sincero.
    Grazioso e carino, ma non eccelso, quest'adattamento può contare su attori piuttosto bravi e su belle scenografie retro. Queste, girando su una pedana, danno luogo, di volta in volta, a quattro ambienti diversi (appartamento, ufficio, ristorante, ascensore) e creano sulla scena un'atmosfera newyorkese anni '60 molto colorata, che ricorda l'arredamento della casa di Quando la moglie è in vacanza, altro film di Wilder. Pollice su.

    SKYLINE (2010)


    • TITOLO ORIGINALE: Skyline
    • PRODUZIONE: USA 2010
    • REGIA: Colin Strause e Greg Strause
    • CAST: Eric Balfour, Scottie Thompson, Brittany Daniel
    • GENERE: Fantascienza
    • DURATA: 94 minuti
    Nello Skyline a budget ridotto dei fratelli Strause, maghi degli effetti speciali e registi di Alien vs Predator, assistiamo ancora una volta all'invasione della Terra da parte degli alieni. Non si avranno certo le risorse di una Guerra dei mondi o di un Indipence Day, punti di riferimento a cui comunque si ammicca, ma si cerca di farcela lo stesso, malamente. 
    Il film è tutto un pretesto per mostrare quanto i due registi, nonostante si ritrovino con pochi mezzi, siano bravi a creare mostri alieni degni di questo nome. Tutto il resto (sceneggiatura, attori, regia) è noia. Jarrod (Eric Balfour, visto nella serie Six Feet Under), con fidanzata che scopriamo presto incinta al seguito, va a Los Angeles per il compleanno dell'amico Terry, che abita in un residence di gran lusso. Dopo una notte di bagordi, luci blu penetrano tra le finestre oscurate svegliando tutti, risucchiano chi le fissa. Annunciano l'arrivo degli alieni. Per tutto il tempo a venire i nostri cercheranno di salvarsi la pelle, di resistere e scappare, sempre e solo dentro il residence, tanto per ricordarci non ci si può permettere altro e si fa quel che si può.
    Manca tutto. I personaggi, interpretati da attori misconosciuti che certo non si impegnano più di tanto, non sono per nulla approfonditi e per questo poco interessanti; la storia è ben poca cosa, arrivano gli alieni e noi urliamo, ci nascondiamo, fuggiamo e nulla più; ci si annoia dopo la prima scena perché tutto così sciatto, scontato e stupido. C'è chi si arrabbia, mentre gli alieni che stanno fuori dalla finestra distruggono mezzo mondo, perché il fidanzato s'è fatto un'altra e non trova momento migliore per ricordargli, quando forse è ora di pensare a tutt'altro, quanto faccia schifo.
    L'unica cosa che si salva è il bel finale, come al solito aperto a nuovi sviluppi (ma si spera vivamente che un sequel mai veda il buio di alcuna sala sulla Terra), che dà sollievo dopo un'ora e mezza di disperazione, dello spettatore. Pollice giù.
     

    L'UOMO CHE VERRA' (2009)


    • PRODUZIONE: Italia 2009
    • REGIA: Giorgio Diritti
    • CAST: Maya Sansa, Alba Rohrwacher, Claudio Casadio
    • GENERE: Drammatico
    • DURATA: 117 minuti
    L'opera seconda di Giorgio Diritti si distingue dalla mediocrità generale del cinema italiano contemporaneo.
    Recitato in dialetto, il film tratta della strage di Marzabotto, in cui perirono, tra il 29 settembre e  il 5 ottobre 1944, 554 adulti e 216 bambini, seguendo la vita della comunità agricola di Monte Sole nei nove mesi precedenti l'eccidio. I nove mesi di una gravidanza, quella di Lena. La figlia di otto anni, Martina, muta da quando le è morto il fratellino tra le braccia, attende con ansia il nascituro ed è suo lo sguardo che lega, e con cui noi vediamo, le vicende cicliche, essenziali e naturali dei contadini. 
    Eterno ed immutabile scorre il tempo agricolo, ma questo viene sconvolto dalla guerra e dai soldati tedeschi, con cui l'unico contatto avviene quando questi cercano qualcosa di cui sfamarsi. Alcuni giovani hanno lasciato le famiglie ed ora, imbracciati i fucili, vivono tra i boschi e le montagne per combattere i nemici, mentre la comunità continua il suo ciclo, tra un avvento dei tedeschi e l'altro. 
    Film corale con un gruppo di attori, professionisti e non, strepitoso, L'uomo che verrà può godere dell'ottima regia di Diritti, capace di rendere un tempo e un mondo che non ci sono più, scandito da un andamento piano e lento, che però non annoia mai. Pollice su.


    25 febbraio 2011

    LE AVVENTURE DI SAMMY (2010)


    • TITOLO ORIGINALE: Sammy's avonturen: De geheime doorgang
    • PRODUZIONE: Belgio 2010
    • REGIA: Ben Stassen
    • GENERE: Animazione
    • DURATA: 88 minuti
    Film d'animazione tutta europea (belga), Le evventure di Sammy, che richiama senza scampo il confronto con Nemo, è stato pensato essenzialmente per i più piccoli, e può interessare e divertire solo loro.
    Si racconta gran parte della vita della tartaruga Sammy, ora in procinto di diventare nonno, dai primi momenti, subito dopo che l'uovo si è schiuso, subito contraddistinti da pericoli e difficoltà. L'avvento minaccioso di un gabbiano gli fa conoscere, fugacemente, la tartarughina Shelly, ed è subito amore a prima vista. Nel viaggio di crescita e formazione per mare, che è la vera storia di questo film,  i due si ritroveranno e perderanno più volte, così come accade per la relazione parallela di amicizia di Sammy con Ray. 
    Seguiamo, infatti, le varie tappe di questo perdersi per l'oceano della piccola tartaruga, con una andamento ripetivo e slegato, che presto annoia, di vari quadretti di grande impegno didattico, ambientati in una miriade di ambienti diversi, dalle acque tropicali a quelle ghiacciate dell'Antartide. Tema portante è quello ecologico: il regno marino così bello, colorato e popoloso viene minacciato ora dal petrolio, brutto e sporco, ora da una baleniera minacciosa. L'uomo, animale strano agli occhi degli abitanti del mare, è rappresentato (pessimamente, dal punto di vista grafico) in maniere molto riduttiva o buono o cattivo, o distruttore dell'ambiente o suo salvatore, come nel caso della ragazza hippy che accoglie ad un certo punto il tartarughino e in seguito sarà impegnata in un gruppo ecologista.
    Proprio la sua lettura del Giro del mondo in ottanta giorni spinge Sammy anche nel proposito di cercare il "passaggio segreto" che gli permetta di cambiare oceano e vedere così il mondo.
    Lasciando da parte tutti i limiti dell'animazione, seppure ottima, che emergono al confronto con quella americana (non solo Pixar), la ripetitività dell'intreccio, i qudretti veloci, leggeri e senza un minimo di tensione, le banalità diffuse danno presto la noia. Pollice giù: solo per bambini.

    23 febbraio 2011

    THE TOURIST (2010)


    • TITOLO ORIGINALE: The Tourist
    • PRODUZIONE: USA / Francia 2010
    • REGIA: Florian Henckel von Donnersmarck
    • CAST: Johnny Depp, Angelina Jolie, Paul Bettany, Timothy Dalton, Raoul Bova, Christian De Sica
    • GENERE: Thriller
    • DURATA: 105 minuti
    The Tourist, con una coppia d'attori dalla grande attrattiva agli occhi del grande pubblico, è un disastro su quasi tutti i punti di vista e la critica,  sia anglofona che nostrana, non è stata di certo tenera; anzi ha senza pietà demolito il film di Florian Henckel von Donnersmark. Dietro questo lungo e difficoltoso nome si cela il regista del pluriacclamato e pluripremiato regista delle Vite degli altri. Come ha fatto, ci si è chiesti, ha mettere insieme un mostro del genere?
    Thriller ambientato, dopo una prima parte francese, nella laguna veneziana, il film è tutto un intrigo ingarbugliato, tra Interpol e scagnozzi russi assoldati da un malavitoso inglese, che vede protagonisti la bell'inglese dalle labbra gommose Elise (Jolie) e un professore di matematica, apparentemente sfigato, del Wisconsin, Frank (Depp), abbordato da lei in treno. Dopo tutta una serie di finti colpi di scena, alla fine si scopre che ciò che si era pensato in principio è vero.
    Il film soffre maggiormente, oltre di una trama incredibile, improbabile e improponibile, proprio della coppia protagonista: la Jolie fa la bella statuina come se fosse dietro qualche vetrata di una maison della moda e nessuno crede neanche per un momente che possa essere inglese; Depp è incapace del tutto nel fare la parte del dimesso, finto sprovedduto, dotato di una capellatura da cane bastonato. Molto meglio il cast di supporto con Paul Bettany in prima linea e tutta una schiera che più lunga non si può di attori italiani: Bova, Boni, Pecci, Frassica e, dulcis in fundo, Christian De Sica, forse nel ruolo migliore della carriera, ed è tutto dire.
    L'unica cosa che ci sembra apprezzabile, nonostante tutto, è proprio la regia, elegante e sontuosa (molto ben diretta la scena in treno, una Frecciarossa trenitalia che parte puntualissima come solo nei film), anche se talvolta banale nelle riprese di Venezia. Così poco non basta per togliere al film un meritato pollice giù. Probabilmente la cattiva riuscita risente anche dei numerosi problemi e diverbi nella pre-produzione.   

    IL NASTRO BIANCO (2009)


    • TITOLO ORIGINALE: Das weiße Band
    • PRODUZIONE: Austria 2009
    • REGIA: Michael Haneke
    • CAST: Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Joseph Bierbichler, Marisa Growaldt
    • GENERE: Drammatico
    • DURATA: 145 minuti
    Vincitore della palma d'oro a Cannes nel 2009, il film ci ha ricordato il bellissimo Dogville. Entrambi sono ambientati in un piccolo villaggio in cui conosciamo le vite dei vari abitanti, sono raccontati dalla voce fuoricampo di uno di loro, mostrano  inesorabili le pecche della società e quelle insite nella natura umana. Eppure le due opere sono molto diverse.
    In un paesino di fede protestante della Germania, all'inizio del secolo scorso e alla vigilia della Prima guerra mondiale, succedono fatti strani e inquietanti: il medico si fa male cadendo da cavallo per una corda invisibile tesa sul suo cammino, un bambino disabile e il figlio del barone vengono maltratti e picchiati, un altro si ammala di polmonite perché esposto al freddo. Si cerca la verità, ma nessuno la vede, o meglio non vuole vederla. Solo il mestro dell'unica classe del villaggio, tra i personaggi maggiori insieme al medico, al pastore e al barone con le rispettive famiglie, arriva fino in fondo, ma nessuno è disposto a credergli. Il finale rimane emblematicamente in sospeso.
    Il film in un abbagliante e straordinario bianco e nero parla dei Padri che non vogliono vedere le colpe dei Figli perché questo implicherebbe venire faccia a faccia con le proprie resposabiltà, delle società colpevole e malata e dei Figli che per forza di cose non possono non essere quello che sono. Le tre figure principali del villaggio, di cui si è detto sopra, portavoci di un'etica rigida e severa, operano tutti forme di sopruso, oppressione e potere sui giovani, le donne, i più deboli. Quando i figli diventano ciò che essi stessi sono, ciò che hanno mostrato e tramandato, chiudono gli occhi; per loro la fanciullezza è l'innocenza del fiocco bianco con cui il pastore cinge il braccio del figlio ed i biondi capelli della figlia. Solo il giovane maestro, voce narrante, anni dopo, di questa vicenda aberrante, è portatore di una mentalità altra, fatta di rapporti personali limpidi e sereni come quello, amorevole e fresco, con la giovane fidanzata che arriva da un altro villaggio. Un grade film. Pollice su.
          

    22 febbraio 2011

    TAMARA DREWE (2010)


    • TITOLO ORIGINALE: Tamara Drewe
    • PRODUZIONE: Gran Bretagna 2010
    • REGIA: Stephen Frears
    • CAST: Gemma Arterton, Dominic Cooper, Luke Evans, Roger Allam
    • GENERE: Commedia
    • DURATA: 111 minuti
    Tratto dal graphic novel di Posy Simmonds, a sua volta ispirato al romanzo Via dalla pazza folla di Thomas Hardy, Tamara Drewe, commedia nera britannica, è l'ennesimo ottimo film di Stephen Frears, che non sbaglia un colpo.
    Tamara (Arterton) torna da Londra, con un naso nuovo e una bellezza prorompente, nel suo borgo natio, Ewedon, paesino sperduto nel Dorset. Porterà scompiglio e farà ruotare attorno a sé, come i moscerini con la fiamma, i maschi del posto: la sua vecchia fiamma, ora rozzo ma gentile tuttofare, Andy (Evans); un batterista rock, Ben (Cooper); lo scrittore di gialli di successo Nicholas Hardiment (Allam), che tradisce, con giovani ragazze come Tam, la moglie che si è sempre sacrificata per lui, che l'ha sempre sostenuto e aiutato, che ha reso quel posto di pace e natura un buon ritiro per scrittori. Alle cose, già di per sé complicate, aggiungono pepe Jodie, fan innamorata persa di Ben, e la sua amica. Ragazze annoiate e vivaci, creano agitazione e trambusto con frequenza giornaliere e fanno da commento disincattato alle vicende del film. E tutti i personaggi sono interpretati da un cast in piena forma, e avvenenza.
    Si ride di gusto al ritratto di questa società broghese, dall'apparenza cristallina, ma in realtà fatta di invidie, tradimenti, gelosie e inganni, in cui nessuno si fa i fatti propri, ma è sempre pronto a sparlare degli altri, non accorgendosi dello sporco che alberga nella propria casa. Nessuno è senza macchia, come  mostra il grottesco colpo di scena finale, ci sono solo individui che sono più o meno cattivi, più o meno innocenti. Tutti mentono, così come fa lo scrittore nei suoi libri. Pollice su
       

    IL TRUFFACUORI (2010)


    • TITOLO ORIGINALE: L'arnacoeur
    • PRODUZIONE: Francia / Monaco 2010
    • REGIA: Pascal Chaumeil
    • CAST: Vanessa Paradis, Romain Duris
    • DURATA: 105 minuti
    Due bellezze, Vanessa Paradis, moglie di Johnny Depp, e Romain Duris, sono i protagonisti di questa carina e divertente commedia francese.
    Alex (Duris) e sua sorella sono specialisti nel rompere coppie consolidate, ovviamente su incarico di qualcuno che non vuole quell'amore. Sono anche eticamente responsabili perché non intervengono per motivi razziali o religiosi. A loro si rivolge il ricco padre di Juliette Van der Beck (Paradis) promessa sposa ad un inglese. Il problema è che hanno soltanto una settimana di tempo prima del matrimonio.
    Tutta la prima parte è altamente divertente. L'inizio forse è la cosa migliore del film e il montaggio sincopato delle imprese del gruppo di spezza-cuori è ben riuscito. Il nostro si fa amare dalla ragazza della coppia da rompere per poi scomparire non appena il risultato è stato raggiunto. Successivamente, si ride anche di tutti gli stratagemmi che il protagonista mette in pratica per attirare l'attenzione della Paradis, per nulla entusiasta della sua presenza come guardia del corpo, farla innamorare e così mandare all'aria il matrimonio. Gli attori tutti sono simpatici, divertenti e freschi, e alla coppia Paradis-Duris fa da contrcanto quella, altrettanto divertente, tra la sorella di lui e il marito, anche lui partecipante alle loro imprese. L'ultima parte, invece, che racconta dello sbocciare e consolidarsi dell'amore vero tra i due protagonisti, è banale e maggiormente scontata, più lenta e noiosa, ma non inficia il giudizio complessivamente positivo sul film. Pollice su, dunque, per questa commendia che è niente di particolare, ma molto molto carina.